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Memoria resistente

copertina

Gabriele Fuga ed Enrico Maltini
e' a finestra c'è la morti

Pinelli: chi c'era quella notte
pp. 168 [ESAURITO]Disponibile in formato digitale.
ISBN 978-88-95950-25-9

"Era chiusa la finestra, poi aperta la lasciaru..."

Dalla finestra aperta sul cortile dove giace agonizzante "Pino" Pinelli, il fumo esce lentamente e si intravedono, dentro quelle stanze, figure diverse da quelle fin qui conosciute. Figure di funzionari di alto grado venuti da Roma, che "prendono la situazione in mano", come dirà uno di loro. Figure che fanno indagini di cui relazionano solo il ministro dell'Interno e il capo della Polizia, non i magistrati inquirenti. I loro nomi: Catenacci, Russomanno, Alduzzi e altri meno noti, spuntano qua e la tra le carte che sulla strage di Piazza Fontana si sono accumulate. Ma è solo nel 1996, 26 anni dopo quel tragico 15 dicembre 1969, che saranno chiamati a deporre di fronte ai magistrati ed anche allora nessuna domanda verrà posta loro su ciò che accadde quella notte nella questura di Milano, quando Pinelli morì. Dal 1996 le loro deposizioni resteranno chiuse negli armadi dei tribunali. Solo da poco ne sono uscite ed è di queste, dei documenti che le accompagnano, dell'ambigua e oscura presenza in quei giorni e in quella notte di personaggi che comandano, ma che si definiscono "riservati", che si parla e si documenta in queste pagine.

Ancora una volta questo breve testo non porta ad una verità definitiva: ma aggiunge elementi che fino ad oggi non erano noti, o erano stati trascurati. Ci è sembrato giusto raccogliere il testimone dai tanti che si sono avvicinati alla figura di Pinelli, certi di trovare altri disposti a farsi carico del seguito di questa ricerca, fino a che il fumo di quella stanza non sarà davvero diradato. 

[Febbraio 2013]

Segnalazioni e recensioni

(da "Umanità Nova" n.18 del 26/05/2013)

Un importante contributo per l'affermazione di una verità storica
Pinelli: chi c'era quella notte

"In Svezia si dice di qualcosa accaduto da molto: è già passato così tanto tempo che non è quasi più vero. Allo stesso modo, da così tanto tempo Cristo è morto per i nostri peccati che non è quasi più vero" (Hegel).

Anche se in italiano tale espressione non esiste, di certo esistono meccanismi di rimozione per i quali certi accadimenti sembrano perdere la loro appartenenza alla realtà; questa l'amara impressione che si ha leggendo "e ‘a finestra c'è la morti" che ci riporta a quanto avvenne nel dicembre del 1969 a Milano, nei giorni della strage di stato e della morte in questura dell'anarchico Pinelli. Il rischio che certe vicende distanti dal presente, seppure rimaste ancora questioni aperte, finiscano per apparire quasi irreali esiste, soprattutto per quanti non hanno vissuto quel periodo. D'altro canto, il tritatutto della memoria collettiva ha funzionato e continua ad operare con effetti micidiali, sollevando gli apparati di potere dalla responsabilità storica, morale e politica di aver pianificato e messo in atto una criminale strategia terroristica allo scopo di fermare quanti cominciavano a credere nella possibilità di cambiare la loro vita, fuori dai meccanismi disumanizzanti del lavoro, della merce e del falso benessere. Di quanto sia stata spietato questo tritatutto, lo dimostra il fatto che la banca in Piazza Fontana dove quel 12 dicembre furono dilaniate decine e decine di persone venne prontamente ripulita dal sangue, ripristinata e riaperta ai flussi di denaro quando ancora vi permaneva l'alone della morte. Gli stessi funerali di stato per le sedici vittime apparvero quasi una beffa oscena in cui migliaia di persone si ritrovarono a piangere, in un corale rito di massa, per i propri "peccati" a fianco delle autorità civili, militari e religiose. Alcune ore dopo, prima di mezzanotte, il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli precipitava da una finestra della questura morendo quasi subito, vittima sacrificale di un disegno premeditato per incriminare l'anarchismo, ossia la più radicale negazione sociale dello sfruttamento, dell'autoritarismo, della gerarchia. Di conseguenza, la stanza in cui Pinelli si trovava prigioniero, sottoposto a minacce e domande capziose, apparve subito avvolta da una nebbia che rendeva irriconoscibili i lineamenti degli inquisitori. Un ufficio angusto, inquinato, claustrofobico, tipico delle questure ereditate dal fascismo con il loro squallore grigiastro, tra faldoni rigonfi d'incartamenti sbirreschi e funzionari impregnati di arroganza, sigarette e brillantina. Chiunque ha avuto modo di conoscere direttamente negli anni Settanta un qualsiasi Ufficio Politico di una qualunque questura italiana, può ritrovarvi lo stesso ambiente sgradevole in cui al falso ordine della burocrazia statale si mischiavano incultura, prevenzione ideologica e volgarità maschile. Se del commissario Calabresi era abbastanza nota la figura, grazie soprattutto al ritratto che ne fece Camilla Cederna (in "Pinelli. Una finestra sulla strage") e all'allusiva interpretazione di G.M. Volontè nel film "Indagine su un cittadino al disopra di ogni sospetto", rimanevano opacamente sullo sfondo gli altri poliziotti e agenti dell'Ufficio Affari Riservati che quella notte toglievano l'aria a Pinelli. Il libro scritto da Gabriele Fuga e Enrico Maltini, che vissero in prima persona quel periodo oscuro, rivela ora finalmente l'identità, la carriera e persino la fisionomia caratteriale di queste figure e tale incontro appare inquietante quanto fondamentale per ricostruire l'accaduto e le singole responsabilità nella morte non accidentale dell'anarchico. Molti altri libri hanno contribuito a fare luce sulla regia che stava dietro gli attentati di Milano e Roma di quel 12 dicembre 1969, a partire da "La strage di stato" (1970), con le sue innumerevoli ristampe, e il meno conosciuto, ma non meno cruciale "Il silenzio di Stato" a cura del Comitato di Documentazione antifascista di Padova (1973); ma quest'ultimo lavoro di indagine edito da Zero in Condotta, sulla base di documenti inediti, ci porta dentro i locali della questura e disvela chi c'era dentro. Ad esempio, si può apprendere che oltre al questore Marcello Guida, con alle spalle una carriera di funzionario della polizia fascista, c'era pure un altro personaggio dai trascorsi compromettenti: Silvano Russomanno, funzionario di alto grado (vice questore) degli Affari Riservati, aveva fatto parte dell'esercito della Rsi venendo pure internato dagli Alleati nel campo di Coltano. Nonostante questi precedenti repubblichini, il suo "onorato" servizio lo porterà a ricoprire il ruolo di rappresentante della polizia italiana alla sessione speciale della Nato in materia di terrorismo svoltosi a Bruxelles nel 1973 e poi essere designato ai vertici del SISMI. E con loro i vari zelanti Panessa, Catenacci, Alduzzi, Mango, Pagnozzi nonché l'infiltrato Enrico Rovelli, nome in codice: Anna Bolena. Strumenti, tutt'altro che inconsapevoli o deviati, così come tutte le varie controfigure fasciste, di un sistema politico ed economico che non poteva tollerare alcuna "sovversione". Da qui la guerra non-convenzionale contro operai, studenti, braccianti, donne, anziani e giovani se partecipanti a lotte e movimenti che stavano mettendo in discussione l'alienazione, materiale e intellettuale, imposta dal capitalismo: una guerra presumibilmente mai conclusa.

Archivio antifa

Recensione su Lotta Continua, mensile, anno II, n.3, giugno-settembre 2013, pp. 6-7
Recensione a cura di Saverio Ferrari sul quotidiano "il Manifesto" dell'11-04-2013
Recensione su Radio Popolare
Recensione di G. Marelli sul sito Carmilla
Recensione su Cremaonline

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